Agroalimentare

L’anima e il valore dell’Agri-business

L’ANIMA E IL VALORE DELL’AGRI-BUSINESS

Innovazione sostenibile e consumatori protagonisti per continuare a crescere

Da sempre l’agroalimentare è caratterizzato da una doppia anima: quella artigianale, in cui spesso impianto ed impresa coincidono, con un raggio d’azione per lo più locale, e quella di più ampio respiro industriale, con multinazionali, grande distribuzione e forti spinte verso l’export.

Anime protagoniste del cosiddetto agri-business che unisce in un unico articolato sistema l’agricoltura e tutte le attività a monte e a valle di essa che contribuiscono alla creazione di valore del prodotto alimentare per come giunge sulla tavola del consumatore.

I principali fattori che incidono sull’evoluzione di tale sistema sono tre: mutamenti del quadro istituzionale, innovazione tecnologica-organizzativa ed evoluzione dei consumi alimentari. Relativamente a quest’ultimo, in un’epoca incentrata sulla corsa all’innovazione ed all’artificiale, i consumatori in ambito alimentare sono sempre più orientati alla riscoperta del naturale e genuino, del prodotto tipico coltivato secondo tradizione.

Di fatto, l’Italiano è sempre stato orientato a trattarsi bene a tavola e a non disperdere il patrimonio naturale del proprio territorio con la sua biodiversità, anche quando le esigenze socio-economiche, dallo sfruttamento delle risorse umane ed ambientali al contenimento dei costi, sembravano remare contro questo orientamento.

Oggi si sta registrando un’inversione di tendenza: dalla penalizzazione del territorio locale per l’industriale ed i servizi della grande distribuzione alla rivalorizzazione dello stesso, individuando le nuove esigenze dei consumatori, da un lato tornati più sensibili ai temi dell’ecologia, del mangiare sano, del tanto decantato chilometro zero ma dall’altro comunque restii a rinunciare alle comodità.

Il prezzo come fattore determinante la scelta dei consumatori sta gradualmente perdendo priorità in favore di molte altre variabili, quali gli aspetti salutistici, il rapporto qualità-salubrità, la personalizzazione degli stili alimentari (molto rilevante per l’affermazione dei prodotti di nicchia) ed i servizi incorporati nel prodotto venduto (cibi precotti, conservabilità, confezioni idonee ai pasti fuori casa). Un alimento deve essere allo stesso tempo conveniente, gustoso, sano, nutriente, genuino, artigianale, idoneo alla dieta, funzionale, rispettoso dell’ambiente, “socialmente etico”, ovvero possedere un valore unitario superiore e non più solo per le qualità intrinseche ma anche per elementi prettamente valoriali… insomma, la scelta del consumatore è sempre più basata sulla multidimensionalità della percezione, con determinanti complesse, non sempre di facile descrizione, velocemente mutevoli nel tempo e nello spazio e pertanto tendenzialmente infinite!

Di conseguenza, la combinazione ideale è difficile da raggiungere senza un’accurata ricerca e sperimentazione; si tratta di focalizzarsi su questo mix di bisogni, immaginare la tavola del futuro e riorganizzare il sistema dell’agroalimentare italiano per riuscire a soddisfarli.

Il cibo del futuro non è più da considerare come merce qualsiasi che segue le leggi di mercato; deve combinare sapere e sapori, vecchi e nuovi, mode, app per rendere smart anche questi consumi.

Un esempio può essere la diffusione degli snack-bag, un’offerta di prodotti tipici sani in pratici formati per essere adatti a qualsiasi situazione, ridurre gli sprechi e mantenere il benessere fisico, senza rinunciare a gusto e sicurezza alimentare grazie al coinvolgimento di produttori locali.

La direttrice di questo sviluppo è la cosiddetta sympathetic food production che consiste nella maggiore affermazione di tutte quelle caratteristiche fino ad ora considerate solo come scelte di acquisto alternative rispetto i consumi “normali” (della maggioranza): il biologico, il commercio equo-solidale, il benessere degli animali, la tutela dell’ambiente.

Ma è possibile analizzare e misurare variabili così quasi esclusivamente qualitative?

Sì, grazie al sempre più diffuso Life Cycle Thinking, un approccio che mira a superare la tradizionale valutazione dei processi di produzione, prendendo in considerazione tutti i possibili impatti (sostenibilità ambientale, economica e sociale) nell’intero ciclo di vita di un prodotto, prima di decretarne realizzazione e distribuzione. Questo approccio si declina in un Life Cycle Management con appositi strumenti di valutazione degli impatti per guidare il processo decisionale: Life Cycle Assessment per ottimizzare le prestazioni ambientali; L. C. Costing per quantificare la sostenibilità economica in un’ottica di ciclo di vita; Social L. C. Assessment, per valutare gli impatti sociali anche relativamente alle diverse categorie di stakeholders.

Risultati? Migliore previsione delle spese future, maggiore trasparenza, minimizzazione dei costi per ciascuna fase del ciclo, più efficiente allocazione delle risorse, ottimizzazione della progettazione degli impianti ottenendo migliori risultati in termini di durata, performance e sostenibilità grazie all’adeguato dimensionamento ed al controllo degli sprechi.

Nel lungo periodo, l’approccio LCT offre ai decisori privati e pubblici la preziosa opportunità di conciliare il massimizzare i profitti ed il miglioramento degli impatti socio-ambientali a cui oggi tutte le imprese devono mirare. In particolare, quelle del mondo agro-alimentare possono esserne il volano ottimale per la natura stessa del settore perché saranno la terra stessa con i suoi frutti fonte di ispirazione e le risorse determinate dal rispetto di ciò che essa ciclicamente offre.

Pertanto, i benefici di una simile metodologia non sarebbero limitati ai consumatori ma all’intero tessuto economico di cui l’agricoltura è da sempre una base essenziale: basti pensare alla riqualificazione e ripopolamento delle aree periferiche da destinare a questo settore oppure al maggiore flusso occupazionale che ne deriverebbe.

Per riuscirci le aziende agroalimentari dovranno anche imparare ad interagire di più con i consumatori e soprattutto con quelli più giovani che rappresentano il domani; sensibilizzarli, stimolarne la curiosità e creare una sorta di collaborazione virtuosa li renderà protagonisti dell’ambiente socio-economico rendendoli consumatori consapevoli e, dunque, probabilmente più soddisfatti… e, lo sappiamo, la soddisfazione del cliente è il motore di qualsiasi mercato!

Ecco che l’agribusiness può tornare ad essere tra le principali fonti di crescita economica e benessere sociale del nostro Paese e pertanto è indispensabile crederci ed investire, con il supporto di azioni politiche mirate, in uno sviluppo sostenibile agroalimentare Made in Italy. 

Valentina Mallamaci

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